Raccontare, ascoltare, scegliere.

Nella rete del Bullo


Rivista N. 2 - secondo semestre - Anno 2013
Nella rete del Bullo

Le nuove modalità comunicative, i new media, coinvolgono in modo sempre più determinante la quotidianità degli adolescenti sia da un punto di vista culturale che relazionale e occorre riflettere sulle ricadute positive o meno che queste novità tecnologiche possono avere sul percorso evolutivo delle nuove generazioni, anche dette “screen generation” o “net generation”.
Potenzialità e rischi si intrecciano. La comunicazione virtuale e le relazioni che crescono e si sviluppano online sfidano lo spazio e il tempo, moltiplicano le occasioni di scambio e condivisione di esperienze tra i coetanei, ne migliorano le relazioni, aiutano a stringere nuove amicizie, favoriscono il circolare delle informazioni e pertanto danno propulsione all'apprendimento, espongono a culture diverse facendo conoscere ragazzi di etnie differenti.
Questa è una faccia della medaglia. Ma così come è importante sottolineare un uso funzionale, adattivo e creativo di internet e affini, è altresì fondamentale monitorare accuratamente l'uso improprio, regressivo e potenzialmente patologico della rete. Ne è un esempio il fenomeno del cyberbullismo. Questa parola traduce un comportamento che consiste in atteggiamenti e azioni finalizzate ad infastidire, offendere, spaventare, imbarazzare, umiliare la vittima prescelta. Le aggressioni sono frequenti, continue e intenzionali e possono essere anche di gruppo. Fino a qui nulla di diverso da quello che fin'ora è stato chiamato bullismo e che probabilmente ci ricorda episodi molto simili accaduti nel nostro passato. Esser presi in giro fuori dalla scuola con dei nomignoli poco lusinghieri appare tuttavia oggi demodè. Oggi il famoso “nomignolo” può venir scritto a caratteri colorati e cubitali su chat, blog, social network, attraverso pc, cellulari, tablet, ed esser corredato da eloquenti foto, vere o presunte tali, in quanto modificabili da abili mani ed un buon programma di foro ritocco, raggiungendo chiunque attraverso un click, entrando nelle case, sui telefonini e gli schermi di amici, nemici ed estranei. Per sempre raccolto in un archivio digitale storicamente inossidabile. L'offesa, l'imbarazzo cessano di avere un vincolo temporale e geografico uscendo dal “qui e ora” nel quale si manifestano per inscriversi in una realtà virtuale ripetitiva, visibile a tutti ovunque e in ogni momento, con una risonanza emotiva amplificata per il destinatario delle fastidiose attenzioni che viene a trovarsi nel mirino di chiunque. E a volte senza neppure saper dar un nome al suo aggressore. Altro elemento distintivo del fenomeno è infatti l'opportunità offerta dalla rete di agire nel più completo anonimato garantendo al cyberbullo un' “apparente” invisibilità che facilita l'aggressione e deresponsabilizza.
Il cyberbullo, a differenza del bulletto che agisce fuori dalla scuola, insieme ad altri, e ha di fronte la sua vittima, rimane invece all'oscuro della sofferenza provocata nell'altro. E c'è di più. E' possibile che attraverso lo schermo o meglio, grazie ad esso, venga trovato il coraggio di nuocere a qualcuno e far ciò che nella realtà non si sarebbe mai osato fare, quasi come se “online” tutto assumesse i caratteri del “tanto è uno scherzo, non è la realtà”. Pensiamo agli effetti sul “cyberbullizzato” in un contesto culturale dove la vera e propria “nascita sociale” avviene solo in parte a scuola o attraverso gruppi di aggregazione (sportivi, religiosi) ma viene invece costruita, e soprattutto mantenuta, attraverso “profili” curati nei più piccoli dettagli sui social network. La propria identità di adolescente prende così corpo attraverso l'effimero che rischia di sgretolarsi come un castello di sabbia di fronte agli attacchi persecutori dei cyberbulli.
Questo in assenza di adeguati strumenti mentali ed emotivi che possano controbilanciare gli attacchi alla propria immagine. Le strade da percorrere per prevenire ed arginare il fenomeno puntano l'attenzione sull'importanza di far emergere questi episodi spronando le vittime a comunicare con gli adulti di riferimento. In secondo luogo occorre promuovere, in famiglia e a scuola, un'educazione affettiva che miri a stimolare una comprensione empatica delle proprie ed altrui emozioni. In ultimo formare personale qualificato che sappia riconoscere ed affrontare nel modo più opportuno tale fenomeno. Un aiuto arriva da una recente proposta di legge (decreto Carrozza del 7 novembre 2013) che sottolinea l'importanza della formazione del personale scolastico nella “scuola secondaria di primo e secondo grado, con risorse a disposizione del MIUR, volte a informare e tutelare gli alunni da possibili criticità derivanti dall’utilizzo della rete e dei social network”. E' questo un punto di partenza fondamentale che va sostenuto in un ottica di corresponsabilità educativa in cui anche le famiglie sono chiamate a “tornare sui banchi di scuola” per imparare a gestire una problematica che si poggia su strumenti non sempre conosciuti e poter così educare ad un uso più consapevole dei new media il cui cattivo utilizzo da parte dei giovani porta ad un disagio sempre più manifesto.

A cura di


Dr. Iacopo Vaggelli
Dr. I. Vaggelli
Psicologo Psicoterapeuta dell'età evolutiva, consulente scolastico
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Dr.ssa Marcella Brun
Dr.ssa M. Brun
Psicologa dell'età evolutiva, consulente scolastica
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