Molti di noi intuiscono come un buon rapporto e un’attiva collaborazione fra insegnanti e genitori faciliti e migliori il percorso scolastico dei propri figli e delle proprie figlie. Anche la letteratura evidenzia questo legame positivo fino ad affermare che “Nulla motiva un bambino più di quando l'imparare è un valore condiviso su cui scuola, famiglia e comunità lavorano insieme in partnership” (Fullan, 1997).
Questo è ancora più rilevante nel caso in cui il percorso di studio non scorra “liscio come l’olio” ma incontri intoppi, difficoltà e fallimenti. Spesso in queste situazioni ci troviamo di fronte a studenti che presentano Bisogni Educativi Speciali (individuati dall’acronimo B.E.S.). La Direttiva del M.I.U.R del 27/12/2012 e la relativa circolare ministeriale attuativa n. 6 del 8/03/2013 segnalano che “ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. Questi bisogni sono inseriti nell’ “area dello svantaggio scolastico [..] molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione”.
Genitori e insegnanti, di fronte alle difficoltà del bambino, sperimentano sentimenti comuni: il timore di sbagliare, il senso di inefficacia nel comprenderlo, il senso di colpa, il sentirsi valutati e giudicati, le titubanze nel suggerire e nell’avviare i necessari percorsi diagnostici.
Sono questi sentimenti a costruire un vissuto di solitudine che non permette di vedere nell’altro una risorsa e un aiuto per affrontare insieme le difficoltà, avvalendosi di un rapporto basato sulla fiducia e stima reciproca.
In queste circostanze si rischia di perdere il fine comune di aiutare e sostenere il bambino nel suo percorso di crescita, il quale non può prescindere dall’accogliere i suoi sentimenti e dal costruire intorno e insieme a lui “una più stretta interazione tra tutte le componenti della comunità educante”.
Una “corresponsabilità educativa” si viene a creare se ciascuna figura, sia essa insegnante, genitore o specialista, può collaborare attivamente in un clima non giudicante e di fiducia, dove ogni ruolo può offrire il suo peculiare apporto senza che si sviluppino sovrapposizioni e sostituzioni di ruolo che inevitabilmente attiverebbero dinamiche di giudizio e conflitto.
In quest’ottica il Piano Didattico Personalizzato (individuato dall’acronimo P.D.P.), esplicitando strategie di insegnamento, pratiche didattiche, valutative e individuando i compiti e gli impegni della scuola e della famiglia, permette di concretizzare e dare corpo a questa corresponsabilità educativa.
Ma “questa forma di coinvolgimento non accade per caso o solamente su invito ma per una esplicita strategia di intervento” (Fullan, 1997). E’ quindi importante progettare e implementare strategie che facilitino e concretizzino una comunicazione efficace fra il mondo scolastico e le famiglie. Spesso questo scambio comunicativo è limitato da pregiudizi e posizioni dogmatiche che distanziano questi due interlocutori per cui è necessario avviare percorsi che valorizzino l’interazione. Per costruire una relazione che supporti realmente una comune-azione può bastare un piccolo invito e qualcuno che vi risponda. Un esempio pratico potrebbe essere la proposta di brevi incontri che vedano la partecipazione di genitori e insegnanti per confrontarsi, dialogare e costruire una scuola realmente inclusiva, al fine di non sentirsi soli ma parte di un team di successo!
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