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Genitorialità e terapeuti: quando i genitori ci consultano per capire meglio i figli


Rivista N. 10 - primo semestre - Anno 2018
Genitorialità e terapeuti: quando i genitori ci consultano per capire meglio i figli

Incontrare come psicoterapeuti i genitori che chiedono aiuto perché in difficoltà con i propri figli, può attivarci molteplici vissuti.
I nostri pensieri possono riguardare la nostra genitorialità con bambini che hanno età vicine a quelle dei figli che ci vengono raccontati. Altri psicologi si confrontano con il proprio desiderio di essere genitori, o con il rammarico di non aver potuto esserlo, o con la consapevole decisione di non esserlo.
Si attivano nei terapeuti le memorie, non necessariamente razionalizzate, dell’essere o essere stati figli: le aspettative, le paure, i desideri di esprimerci ed affermarci. Tutti siamo stati in quello spazio relazionale essenziale con i nostri padri e madri, il primo che abbiamo incontrato.
Ognuno porta con sé un proprio ideale di relazione educativa, magari guadagnato a caro prezzo all'interno della propria storia personale, che non può non essere sollecitato quando i pazienti raccontano le proprie di esperienze. Le prime ipotesi e le prime idee scaturiscono inevitabilmente dalle emozioni e dai pensieri suscitati dal contatto con i nostri vissuti personali. Quanto di più lontano dalla “realtà” dei genitori in cerca di aiuto. Che fare allora quando le persone ci chiedono aiuto perché in difficoltà con i propri figli?
I ricordi di Sara
Sara è una giovane donna separata con una figlia di quattro anni, che si rivolge ad un terapeuta in cerca di un aiuto come genitore. Sara descrive la propria bambina come dittatoriale e capricciosa: non riesce a restare da sola, le separazioni per frequentare la scuola dell'infanzia sono sempre più difficili.
Il terapeuta inevitabilmente ha proprie opinioni riguardo a come Sara si comporta dal punto di vista genitoriale: ipotizza inizialmente che le difficoltà della figlia possano essere il frutto di qualche esperienza negativa della piccola a scuola. Tuttavia questa ipotesi si dissolve velocemente con il procedere dei colloqui.
Il terapeuta ricorda tra sé la propria madre, una persona affettuosa ed esageratamente preoccupata per i figli, quindi chiede alla signora quali siano i suoi timori di mamma nel lasciare sola e senza la sua presenza la figlia. Sara racconta inizialmente storie improbabili di potenziali esondazioni di torrenti e tragedie automobilistiche che si sentono in televisione. Il terapeuta fa notare l’incongruità di queste spiegazioni. Dopo poco Sara ricorda le proprie brutte esperienze di bambina sempre in compagnia di estranei e poco tutelata dai genitori, distratti dalle loro continue liti. Effettivamente teme che sua figlia viva le stesse cose, mentre lei non è presente. Chi teme la separazione è Sara e non la piccola.
Il terapeuta utilizza tra sé i propri ricordi entro una cornice di curiosità per la situazione della giovane madre. Sara si interroga costantemente su di sé e, gradual-mente, mette in relazione il suo comportamento di genitore con i propri ricordi infantili. La modalità è dialogica e non pedagogica, si chiede e si riflette e non si insegna. Si cerca di costruire insieme i significati, la loro provvisorietà e le possibili alternative.

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