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Coronavirus: come stanno i ragazzi?


Rivista N. 15 - secondo semestre - Anno 2020
Coronavirus: come stanno i ragazzi?

Il 9 Marzo del 2020 il Governo italiano ha chiesto ai suoi cittadini di restare in casa e di uscire solo in caso di necessità. Le scuole sono state chiuse per mesi come anche molti uffici, i negozi, i bar, le discoteche, i parchi, i cinema e i teatri e le palestre. Non si potevano incontrare i parenti, gli amici e neppure i fidanzati. Mentre le case erano piene di vita, le strade erano deserte e il silenzio tutto intorno. Questo periodo di chiusura, chiamato lockdown, è durato circa due mesi ed è servito per difenderci dal Covid-19, un virus che sa mimetizzarsi e uccide, soprattutto i più fragili.
Bambini, ragazzi, adulti e anziani, ogni generazione ha sofferto sotto diversi aspetti per questa reclusione che ha interrotto una normalità consolidata, fatta di routine, abitudini e, quindi, di certezze. Ma quali ricadute ha avuto il lockdown sugli adolescenti, su quella generazione che vive nell’incertezza della propria identità, che fa del gruppo e dell’appartenenza uno dei suoi bisogni evolutivi più importanti?
Diversi sono gli studi eseguiti, attraverso sondaggi online proposti ai ragazzi di tutta Italia, per indagare gli effetti della quarantena sui giovani. Tra questi, l’indagine pubblicata dall’Istituto Gaslini di Genova fa emergere che i bambini e gli adolescenti, di età compresa tra i 6 e i 18 anni, hanno sviluppato prevalentemente disturbi di natura somatica e problemi con il sonno, (soprattutto difficoltà ad addormentarsi e risvegliarsi). È stata registrata anche una maggiore instabilità emotiva, con un aumento dell'irritabilità e cambiamenti d'umore. L'indagine, inoltre, ha evidenziato l'esistenza di una correlazione tra la gravità dei disturbi registrati nei minori e il malessere vissuto dai loro genitori durante il periodo d’isolamento. Proviamo a comprendere meglio il significato di questi risultati.
All’inizio della quarantena gli adolescenti hanno vissuto l’isolamento con entusiasmo, come fosse una vacanza. Hanno resistito a non vedere amici e parenti. Quando il lockdown è stato prolungato, la scuola si è organizzata per offrire ai propri alunni la didattica a distanza. È stato stressante per alcuni ragazzi, abituati ed espertissimi a usare i cellulari, adattarsi all’uso del pc. Stare molte ore davanti lo schermo, mantenere l’attenzione, creare cartelle e documenti al computer, fare ed inviare i compiti per email. Questa nuova modalità di fare scuola li ha destabilizzati, li ha fatti sentire smarriti e inadeguati. Alcuni sono riusciti ad adattarsi bene, altri, quelli che già facevano fatica a seguire il ritmo e le richieste scolastiche, si sono scoraggiati ulteriormente.
L’adolescenza è, per antonomasia, il periodo in cui i ragazzi vivono conflittualmente il rapporto con i propri genitori e l’isolamento non ha facilitato questa dinamica. Si sono verificati due scenari diversi: alcuni genitori hanno approfittato della quarantena per instaurare un dialogo e un confronto costruttivo con i propri figli in altre famiglie, invece, la relazione si è deteriorata ulteriormente perché la condivisione prolungata dello stesso ambiente non ha permesso ai ragazzi di ritagliarsi uno spazio in cui la loro privacy era tutelata. Di conseguenza, la notte è diventata l’unico momento per stare soli o per socializzare con gli amici, attraverso i videogiochi online, le chat e i social network. Andare a letto tardi ha avuto ripercussioni sulla qualità e quantità del sonno e sulle capacità di attenzione e concentrazione.
Il lockdown è finito ma la preoccupazione verso il Coronavirus no. Il Governo ha lasciato la possibilità di tornare alla vita normale ma con delle precauzioni. I giovani sono entusiasti all’idea di poter ritrovare la propria libertà ma sono anche consapevoli che rifrequentare gli amici e i fidanzati innalza il rischio di contrarre il virus e di trasmetterlo ai propri genitori e soprattutto ai nonni. È possibile che alcuni di loro vivano la cosiddetta “sindrome della capanna”: sentano la propria casa un posto protetto e sicuro da cui non voler uscire, all’interno del quale si può frequentare la scuola e rimanere in contatto con gli amici senza alcun rischio. Questa condizione può provocare stati di agitazione, paura, stress, soprattutto ora che si avvicina la riapertura delle scuole. Altri ragazzi, invece, possono sentire il bisogno di stare spesso fuori di casa, frequentare gli amici, di trasgredire come per recuperare il tempo perduto.
Alla luce di quanto detto finora, è necessario che i giovani non siano lasciati soli, affinché l’esperienza di questa pandemia non abbia ricadute negative e prolungate sul loro percorso di crescita. È importante, dunque, che i genitori mantengano il dialogo instaurato con i propri figli per aiutarli a parlare delle loro emozioni e pensieri. Bisogna “rieducarli” a vivere fuori senza forzature ma anche senza eccessi. Per aiutare quei ragazzi che faticano a lasciare la propria casa, i genitori possono mettere in pratica piccoli stratagemmi come chiedere loro di accompagnarli a fare qualche commissione o invitare un caro amico a casa. In questo modo, i ragazzi ritroveranno gradualmente la voglia di uscire. Per gli adolescenti che, al contrario, chiedono di stare fuori di casa spesso, è opportuno che i genitori negozino con i propri figli alcune regole che vadano incontro ai bisogni di ciascuno.
In ultimo sarebbe inoltre auspicabile che educatori, insegnanti e psicologi, attraverso le scuole o le associazioni, offrissero spazi di confronto e di rielaborazione dei vissuti per trovare efficaci soluzioni al fine di adattarsi a vivere questa nuova realtà.

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