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Aiutare il bambino a sviluppare il linguaggio


Rivista N. 15 - secondo semestre - Anno 2020
Aiutare il bambino a sviluppare il linguaggio

Nelle ultime settimane ho osservato un aumento delle richieste di consulenza logopedica da parte dei genitori, più o meno preoccupati che il proprio bimbo ancora non parli. I mesi passati, complici il periodo di lockdown e soprattutto la chiusura dei servizi per l’infanzia, hanno fatto sì che molti bambini fossero da soli a casa con mamma, papà e in alcuni casi i fratelli maggiori, per tempi più lunghi, cambiando inevitabilmente la loro quotidianità.
La prima domanda che generalmente mi viene rivolta è: “ma c’è da preoccuparsi?”
Premesso che ogni bambino può avere tempi di sviluppo diversi, vorrei sfatare alcuni miti e dare invece alcuni consigli ai genitori su come stimolare adeguatamente il bambino e aiutarlo nello sviluppo del linguaggio.
Le risposte che si ricevono, a volte dalle figure più disparate, oscillano da un estremo all’altro: “non preoccupatevi, è ancora piccolo, aspettiamo e vediamo”, oppure “se non parla è autistico”.
Prima di tutto è importante capire se ci sono indici di rischio per il ritardo di linguaggio, come la nascita prematura, la familiarità per ritardi di linguaggio o la presenza di otiti ricorrenti.
In secondo luogo è importante capire se il bambino utilizza un sistema di comunicazione e se quest’ultimo è funzionale: utilizza il contatto oculare? E i gesti? Indica per richiedere o per mostrare, dà in mano ad altri un oggetto per condividerlo?
Poi è importante capire come sta procedendo lo sviluppo del linguaggio. Ha iniziato la lallazione? Quanti mesi aveva e quali caratteristiche presentava? Quando ha iniziato a dire le prime parole? Quali parole dice? Comprende frasi semplici?
Raccogliendo queste informazioni il logopedista può iniziare a capire il profilo del bambino e quindi decidere se può essere opportuno rivolgersi ad altre figure per escludere eventuali disturbi (foniatra, neuropsichiatra infantile) e poi iniziare a lavorare con il bambino, oppure se monitorare indirettamente lo sviluppo del bambino e fare consulenza ai genitori.
In che cosa consiste la consulenza? E’ un incontro rivolto ai genitori, senza la presenza del bambino, in cui si scelgono le modalità più adatte per stimolarlo a casa, nel contesto quotidiano.
Alcune delle strategie che si possono iniziare ad attuare sono: ricercare molto il contatto oculare, utilizzare i gesti a supporto delle parole, esagerare l’intonazione, parlare più lentamente, lasciare dei tempi di silenzio in modo che il bambino possa provare a prendere il turno della conversazione.
O ancora denominare quello che il bambino guarda o indica, riprendere riformulando in modo corretto ciò che il bambino dice e rinforzare positivamente il suo tentativo di esprimersi.
Bisogna invece evitare di far finta di non capire, di chiedere continuamente al bambino “come si chiama questo?” o dire la prima sillaba e aspettare che il bambino completi la parola.
E’ bene ricordare che non esistono strategie migliori di altre, ma è importante come queste vengono adattate ed applicate nella quotidianità di casa dalle figure di riferimento del bambino (genitori, nonni, fratelli e sorelle, babysitter).
Se il bambino non migliora e le sue abilità rimangono pressoché stabili, può invece essere opportuno un approfondimento valutativo con la presenza del bambino.
Alcune tempistiche generali di riferimento possono essere le seguenti: prime parole ai 12 mesi circa, esplosione del linguaggio tra i 18 e i 24 mesi e abbinamento di due parole a partire dai due anni. Se pertanto il bambino ha raggiunto i 24 mesi e ancora dice pochissime parole, è consigliabile una consulenza per iniziare ad agire in modo più mirato e prevenire un eventuale ritardo di linguaggio.

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